LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso iscritto al n. 823469 del registro di segreteria, proposto da Ricci Mingani Rina avverso il decreto del direttore dell'ufficio provinciale del tesoro di Bologna n. 22056 in data 23 gennaio 1971; Uditi alla pubblica udienza del giorno 6 dicembre 1990, il relatore nella persona del cons. Vincenzo Lamberti e - non presente, ne' rappresentata la ricorrente - il pubblico ministero nella persona del vice procuratore generale Franco Pacelli; Esaminati gli atti; RITENUTO IN FATTO Ricci Mingani Rina contrasse in Imola il 20 dicembre 1969 matrimonio con Fossi Giacomo, titolare, a decorrere dal 7 giugno 1951, di pensione di guerra della prima categoria della tabella A piu' assegno di super invalidita' di tabella E/F per tubercolosi polmonare bilaterale. Il 26 novembre 1970 Fossi Giacomo mori' in Imola per cuore polmonare cronico, scompenso cardiorespiratorio, sincope cardiaca, nevropatia cronica. Alla succitata Ricci Mingani Rina, che ne aveva fatto richiesta con due istanze presentate il 4 gennaio 1971, il direttore dell'ufficio provinciale del tesoro di Bologna nego' con decreto n. 22056 del 23 gennaio 1971 la pensione indiretta di guerra, motivando che l'art. 44 della legge 18 marzo 1968, n. 313, stabiliva che la vedova ha diritto alla pensione di guerra purche' il matrimonio sia avvenuto anteriormente alla data in cui vennero contratte le malattie da cui derivo' la morte del militare o del civile, oppure quanto il matrimonio, in qualunque tempo contratto, sia durato non meno di un anno ovvero sia nata prole ancorche' postuma. Avverso questo provvedimento negativo l'interessata propose a questa Corte il ricorso n. 823469, invocando una piu' equa valutazione in considerazione del fatto che, al momento della morte del marito, mancavano soltanto pochi giorni al raggiungimento dell'anno di durata del matrimonio. Di tale ricorso il procuratore generale chiese con conclusioni scritte il rigetto e nell'udienza odierna, nella quale la ricorrente non e' comparsa, ha confermato la richiesta. CONSIDERATO IN DIRITTO Ritiene la sezione di dover sollevare d'ufficio nel presente giudizio la questione di legittimita' costituzionale, in relazione all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 44, terzo comma, della legge 18 marzo 1968, n. 313 e del corrispondente art. 40, terzo comma, del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, limitatamente alla parte in cui subordinano il diritto della vedova alla pensione di guerra alla condizione che il matrimonio, in qualunque tempo contratto, sia durato non meno di un anno. Reputa, infatti, tale questione, come appresso si dira', rilevante ai fini della decisione della causa e non manifestamente infondata a seguito dei mutamenti intervenuti nella legislazione pensionistica per effetto di due sentenze della Corte costituzionale, l'ultima delle quali e' recente. Nel dichiarare non fondata con la sentenza n. 2 del 23 gennaio 1980 la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 58 e 69 della legge 10 agosto 1950, n. 648 e 44 della legge 18 marzo 1968, n. 313, in materia di pensioni di guerra, la succitata Corte ricordava "di aver avuto occasione di affermare (sentenza n. 3/1975), in analoga fattispecie concernente l'esclusione del diritto a pensione di riversibilita' delle vedove di pensionati statali con durata minima (due anni) del matrimonio contratto in data posteriore a quella di cessazione dal servizio del dante causa, che i criteri limitativi per le pensioni di riversibilita' derivanti da matrimoni conclusi da gia' pensionati risultano dettati, in via generale, dal legislatore come remora all'ipotesi di matrimoni contratti non per naturale affetto e, quindi, in tal senso sospettabili, sicche' le condizioni restrittive volte a garantire, in qualche modo, la genuinita' e la serieta' del tardivo coniugio si risolvono anche nella tutela del pubblico erario contro maliziose e fraudolente iniziative". Rilevava, poi, che "la peculiarita' della pensione di guerra, che si identifica nella sua funzione risarcitoria e non meramente assistenziale, non e' certamente tale da escludere l'operativita', anche in quel campo, delle esigenze di tutela del pubblico erario avvertite a proposito delle pensioni civili, giacche' le esigenze stesse riguardano in entrambe le ipotesi la finanza pubblica e sono indipendenti dalla natura dell'istituto giuridico cui si riferiscono". Senonche' la stessa Corte in materia di pensioni civili e militari ha dichiarato con sentenza n. 123 del 16 marzo 1990 l'illegittimita' costituzionale dell'art. 81, terzo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del t.u. sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato) limitatamente alle parole "a condizione che il matrimonio sia durato almeno due anni". Ha osservato al riguardo che l'anzidetta disposizione appariva irrazionale, perche' dettata dalla sola esigenza di impedire che il matrimonio venga contratto per scopi fraudolenti (ipotesi patologica ed, in quanto tale, residuale), mentre trascurava di prendere in considerazione la generalita' dei casi e le connotazioni del rapporto coniugale nella societa' attuale e, cioe', le unioni di persone in eta' avanzata, che cercano nel matrimonio rimedio alla solitudine individuale, reciproco conforto e sostegno nell'affrontare le quotidiane esigenze. Ancor prima la Corte medesima aveva, tra l'altro, dichiarato con sentenza n. 587 del 31 maggio 1988 l'illegittimita' costituzionale dello stesso art. 81, terzo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, limitatamente alle parole "e che la differenza di eta' tra i coniugi non superi i venticinque anni". In materia di pensioni civili e militari, dunque, il diritto alla pensione di riversibilita' della vedova del pensionato, che ha contratto matrimonio dopo la cessazione dal servizio e dopo il compimento del sessantacinquesimo anno di eta', non e' piu' soggetto alle condizioni che la differenza di eta' tra i coniugi non superi i venticinque anni e che il matrimonio sia durato almeno due anni. Circa la durata dell'unione coniugale, va ricodato che la menzionata sentenza della Corte costituzionale n. 2/1980 aveva sottolineato che il legislatore, prevedendo il termine minimo di un solo anno, aveva sostanzialmente mostrato di essere sensibile ad una esigenza di particolare favore per le pensioni di guerra. Le vedove dei pensionati di guerra, gia' trattate con particolare favore anche in considerazione del fatto che i loro mariti non di rado sono incapaci di svolgere qualsiasi attivita' fisica ed hanno estremo bisogno di conforto e di aiuto, si trovano ormai in condizione deteriore rispetto alle vedove dei pensionati civili e militari. Questa costatazione insieme con la considerazione che immediatamente seguira' pare che basti a far ritenere non manifestamente infondata la sopraindicata questione di legittimita' costituzionale degli artt. 44, terzo comma, della legge n. 318/1968, e 40, terzo comma, del d.P.R. n. 915/1978 limitatamente alla parte in cui subordinano il diritto della vedova alla pensione di guerra alla condizione che il matrimonio, in qualunque tempo contratto, sia durato non meno di un anno. Pur se la pensione di guerra ha funzionato diversa da quella civile, per l'una e per l'altra le norme cautelari relative alla durata del matrimonio sono state stabilite a tutela del pubblico erario e, come ha rilevato la Corte costituzionale, sono indipendenti dalla natura dell'istituto giuridico cui si riferiscono. Adesso, pero', dette norme cautelari emanate per le pensioni civili e militari hanno cessato di avere efficacia, mentre restano operanti quelle dettate per le pensioni di guerra, che impediscono, allo stato attuale, di riconoscere alla ricorrente Ricci Mingani Rina il diritto, che l'Amministrazione del tesoro le ha negato, e rendono, percio', rilevante l'anzidetta questione di legittimita' costituzionale, sollevata d'ufficio per disparita' di trattamento.